Che cos’è un’impresa familiare?
Per rispondere partiamo dal dato normativo, ovvero dall’articolo 230 bis del Codice civile.
E cosa ci dice per prima cosa il dato letterale?
Che tale istituto – quello dell’impresa familiare – è stato introdotto in un secondo tempo rispetto alla nascita del Codice civile. Il “bis”, infatti, ci racconta che è qualcosa di sopravvenuto: l’impresa familiare è nata nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia del 1975 (in un’epoca di grandi trasformazioni) per dare dignità a tutti quei lavoratori familiari che lavoravano nell’azienda, ditta individuale, e avevano come unico riconoscimento la benevolenza dell’imprenditore.
Abbiamo appena detto che la natura giuridica dell’impresa familiare è quella della ditta individuale, del negozio, del magazzino, del laboratorio, dove solo l’imprenditore sarà responsabile con il proprio patrimonio dell’adempimento delle obbligazioni assunte dall’impresa e il familiare attraverso la sua opera lavorativa matura alcuni diritti.
Quali sono questi diritti?
Il mantenimento, la partecipazione agli utili aziendali e gli incrementi e ha determinati poteri di cogestione. La natura giuridica dell’impresa familiare è quella di ditta individuale, pertanto solo l’imprenditore sarà responsabile con il proprio patrimonio dell’adempimento delle obbligazioni assunte dall’impresa.
Ma chi sono i familiari interessati?
Il coniuge, i parenti entro il terzo grado, e gli affini entro il secondo che non potranno avere una partecipazione complessiva agli utili eccedente il 49% del totale.
Dopo il bis, nel 2016 è arrivato anche il ter, in un altro periodo di tentativi di riforme ammodernatrici del Paese. La legge Cirinnà ha creato il 230 ter, estendendo anche al convivente che presti stabilmente la sua opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente una serie di diritti.
E come si scioglie l’impresa familiare?
Proprio perché il legame familiare è condizione indispensabile per la creazione dell’impresa familiare il diritto correlato è intrasferibile (salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati al comma terzo dell’art. 230-bis cod. civ. e vi sia il consenso di tutti i partecipi).
Lo scioglimento del rapporto di impresa familiare relativamente al singolo collaboratore può avvenire anche per altre cause quali: morte; impossibilità alla prestazione; alla perdita della qualità di familiare; decisione del familiare-imprenditore. Il titolare dell’impresa ha comunque l’onere del preavviso, durante il quale, tra l’altro, continuerebbe a maturare il diritto agli utili e agli incrementi.
La cessazione dell’impresa familiare comporta la maturazione in capo al collaboratore di un diritto di credito verso l’imprenditore, non solo per gli utili non ancora distribuiti, ma anche per i beni dell’impresa acquistati e per gli incrementi aziendali, compreso l’avviamento.
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